Allora, ecco la "Versione di aug" di quella caccia...
La faccenda incominciò, diciamo …anni fa con due incalliti cercatori di Carabidi che partono da Milano (diciamo alle otto di mattina) di un Sabato inizio Febbraio, alquanto infreddoliti ancora prima di salire in auto. Dato il gelo, non c’è nebbia e si capisce già che sarà una bella giornata.
Un viaggetto di un’ora e mezza, Autostrada del Sole, Piacenza sud, poi in giro attorno alla città e via verso le colline.
Ed eccoci, l’amico Maurizio ed io, alle dieci di mattina con ancora la brina sull’erbetta, poco oltre un paesino sulle prime pendici dell’Appennino piacentino. La prospettiva è di una giornata di scavi alla ricerca di Coleotterini, ancora più infreddoliti di noi ma ben sistemati nelle loro microscopiche tane nelle accoglienti argille grigie. Maurizio si abbandona a estatiche considerazioni sul Pliocene
, i banchi di argilla
ed i fossili
che si possono rinvenire sui calanchi che orlano il corso del torrente. Più prosaicamente io ricordo una gita di una quindicina di anni prima, alla ricerca di quei fossili, che a me non fregava assolutamente nulla
, in cui presi tanto freddo e rischiai pure di accopparmi
proprio sotto uno scaglione di quelle argille che tanto esaltano il mio socio.
Purtroppo è ora di scendere dall’auto, che lasciamo parcheggiata di fronte ad una osteria in cui (è noto) girano dei panini al salame
innaffiati lambrusco che già di per sé stessi sono un formidabile dis-incentivo a qualunque cosa non sia mettere le zampe sotto il tavolo.
Riflettendo sulla stupidità del genere umano (nostra, in particolare) ci avviamo verso il torrente. Quante volte ci siamo detti che se qualcuno ci obbligasse a fare quello che stiamo per fare
, lo stesso entrerebbe a fare parte dei nemici del popolo! E che nessuno stipendio giustificherebbe le fatiche (spesso infruttuose) ed i disagi di certe cacce…eppure siamo qui sulla riva del torrente a constatare che il ponte non c’è, e che la costa argillosa soleggiata che ci attira sta sull’altra riva. Non so se vi è mai successo, ma a me capita sempre che qualsiasi cosa ci sia di interessante in prossimità di un fiume, o torrente, o ruscello stia sempre sull’altra riva. Pazienza, non ci sono alternative serie e si entra in acqua a guado. Maurizio del guado lo sapeva, io no, quindi lui ha gli stivali di gomma mentre io sono con semplici, permeabilissimi, scarponi. Che bella frescura! Grazie al Cielo l’acqua è abbastanza alta da traboccare anche negli stivali del Vate entomologo e così siamo in due a stare bagnati, dalle dieci della mattina a Febbraio, per tutto il giorno. C’è una Giustizia a questo mondo
, anche se dura!
Sull’altra sponda dello Scamandro (allusione dotta all’Iliade che tutti voi avrete sicuramente colto) la campagna si innalza abbastanza ripida, con campi coltivati a cereali in cui, vista la stagione precoce, si manifesta l’inizio della vegetazione. Camminando sui bordi, cercando di non dare troppo nell’occhio dell’agrario
che inopinatamente sia già in giro di Sabato mattina quasi presto (ma gli agrari si alzano prestissimo) ci innalziamo nella valle sino al punto dove batte già il sole del mattino, più che altro per cercare un po’ di calduccio, non tanto perché le nostre prede lo preferiscano.
Già, le prede
. La ricerca dei Carabidi nei quartieri invernali è frutto per l’uno per cento di
ispirazione e per il rimanente novantanove per cento di traspirazione
come diceva Edison. Per gli Harpalini e fauna associata, tocca trovare un terreno favorevole (argilloso è l’ideale) e possibilmente ricco di grani e/o semini. In effetti la costa davanti a noi presentava tutte queste caratteristiche, quindi prometteva bene. Dopo di che si scava, e si controlla lo scavo, perbacco, e si tira su quello che ne vale la pena (se si conosce bene quello che si trova, vedasi Maurizio) oppure, più modestamente, tutto quello che si muove (nel mio caso).
Il nostro obiettivo dichiarato era di tirare su un bel fritto misto di
Ophonus,
Harpalus e
Pterostichus con magari qualche
Stomis bucciarellii (allora da poco scoperto) e poi imprevisti vari della fauna delle argille:
Chlaenius decipiens,
Zuphium olens,
Apotomus e così via
Per rendere più efficace lo scavo (attività fossoria eseguita utilizzando mezzi arcaici ma insostituibili, cioè una zappetta) di solito si approfitta delle scarpatine più o meno verticali, che permettono un progresso più veloce a pari traspirazione. I più gettonati sono i bordi rialzati dei campi (ecco dove di solito l’agrario trova qualcosa da ridire) o dei fossatelli o dei viottoli. Nel caso particolare non c’era in vista nulla del genere, quindi lo scavo è partito, di lena non troppo buona
, nella risorsa alternativa, cioè al piede degli alberelli (pochi e magrissimi) in vista e FORTUNATAMENTE alla base di un palo della rete elettrica, di cemento scabroso e soprattutto affossato in un banco di argilla, che stava lì, apposta per noi. Lì per lì, di robetta varia ce ne era, nulla di spettacolare ma meglio di niente. La cosa più attraente erano gli
Apotomus rufus, con quella loro faccia da formichine ed i riflessi lenti, ma lenti. Si trovavano anche parecchi
Parophonus,
Diachromus e
Gynandromorphus, che si somigliano tutti con le varie parti del corpo rossastre. Brachini come se piovesse, ovviamente. Un po’ più sotto, dopo uno strato infruttuoso, uno
Zuphium olens, nel suo elegante completo bruno nero a macchie arancioni e l’andatura improvvisamente fulminea: almeno questo non era una bestia ovvia e ci ha incoraggiato, anche perché ne uscirono diversi esemplari. Lo scavo aveva raggiunto profondità sul 30-40 cm e già bisognava tirare fuori l’argilla per vederci qualcosa esaminando all’esterno. Improvvisamente ecco un sederino
giallo alutaceo, piatto e in fuga fra due grumetti di argilla, una cosa che avevo già visto l’anno prima in un’altra località e che NON
è confondibile: il
Parazuphium chevrolati! Questo era decisamente una bestia mitica e ripagava il viaggio, il freddo, l’acqua di guado e tutto il resto. Lì ci siamo organizzati, con un lavoro
a catena di smontaggio del banchetto di argilla: di Maurizio, dopo un’oretta, solo le gambe spuntavano
fuori dalla galleria sub-verticale. Anzi spuntavano anche borbottii volta per volta di entusiasmo, di fatica, di disapprovazione e chi più ne ha…Io lavoravo la ganga minerale, scavando un po’ sui lati ad allargare il foro (avevo una certa paura che il Maurizio dentro, o meglio sotto, ci facesse la fine del sorcio) e nello stesso tempo esaminando
con cura e mano fermissima
ogni scaglietta estratta dal Minatore: gli
amici di monsieur Chevrolat abbondavano e poi li abbiamo fraternamente divisi, una quindicina a testa, e scusate se è poco. Come ovvio, si trattava di una ricerca molto faticosa e poi la preoccupazione era anche rivolta a non esagerare col pozzo, prima di restarci dentro o di scalzare il palo, quindi dopo un paio di ore abbiamo piantato lì la cosa, spalettando nel buco tutta la argilla, estratta prima, che siamo riusciti a farci stare per limitare i danni. Al venerdì successivo, in Museo, abbiamo illustrato ad alcuni colleghi il risultato della caccia miracolosa, fra molte risatine di incredulità (loro, e gli sono passate in fretta) e qualche reticenza a proposito del posto esatto (nostra). Fra l’altro, su alcuni esemplari di quei Parazuphium fu reperito un fungo Laboulbeniale poi risultato una nuova specie,
Eucantharomyces franzinii W. Rossi 1992!