gomphus ha scritto:
anche perché, da quel che dici, sembra di capire che la cariosa abiti anche territori con inverni decisamente rigidi, per cui il fattore limitante dovrebbero essere le temperature estive sufficientemente elevate insieme a clima arido o almeno semiarido (cioè, per chi ci segue e non lo sapesse, con parecchi mesi all'anno caratterizzati da precipitazioni in generale molto scarse, anche se occasionalmente violente), piuttosto che gli inverni miti (e in ogni caso l'effetto di mitigazione del clima invernale prodotto dall'immediata vicinanza del mare suppongo si sia fatto in qualche modo sentire anche durante le glaciazioni); nei periodi glaciali si sono avute alternanze di fasi fredde e umide e fasi fredde e secche, queste ultime probabilmente non così sfavorevoli
E' esattamente così. Nei Buprestidi, e penso anche in altri xilofagi, il fattore critico non sono le temperature invernali, ma quelle del periodo di attività degli adulti, che hanno bisogno di clima relativamente caldo, e se asciutto, per loro è pure meglio. Nel periodo invernale, invece, stanno nel legno, o addirittura nelle radici, e sono relativamente al riparo. Se le temperature sono un po' più basse, quello che succede, di solito, è solo un rallentamento dell'attività della larva, ed un allungamento del periodo di sviluppo. Ma se il clima del periodo di attività degli adulti non è adatto, allora per loro sono problemi seri.
marco villa ha scritto:
Certamente durante la gliaciazione vie era una forte predominanza di elementi agarici (eurosibirici ed eurocentrasiatici) per l'estensione dei boschi freddi e della steppa, ma le specie africane, soprattutto per quanto riguarda i mammiferi, dovevano sopravvivere, almeno nelle parti più meridionali. E come mai nel Sahara non c'è traccia di fauna afrotropicale nemmeno per quanto riguarda i mammiferi? Forse proprio per una desertificazione troppo insistente. I pochi superstiti sono migrati verso il Medio Oriente e l'Atlante, poi l'uomo ha fatto il resto.
Nel Sahara inteso come vero deserto, manca la fauna africana perché le condizioni estreme non ne permettono la presenza. Nelle zone più favorevoli, un po' di specie africane sono rimaste, sia nel Sahara centrale, come i massicci del Tibesti, Hoggar, ecc., in cui la presenza dei rilievi consente l'esistenza di habitat un pochino meno aridi, sia nella fascia predesertica a Nord, e nell'Atlante, in particolare nell'Anti-Atlante e nell'Alto Atlante, più caldi ed aridi delle altre catene del gruppo (Medio Atlante, Rif, Cabilia, ecc.).
Per esempio, tra i Buprestidi (solo perché li conosco meglio), i generi Steraspis e Genestia, il sottogenere Ptychomus di Acmaeodera, il sottogenere Hoplistura di Sphenoptera sono tipicamente africani, eppure comprendono specie nordafricane (qualcuna raggiunge anche il Medio Oriente), senza considerare le specie che risalgono verso Nord lungo il corso del Nilo. Sono chiaramente superstiti del popolamento africano pre-desertificazione sahariana. E tra i Vertebrati non mancano gli esempi. La procavia è decisamente africana, eppure arriva fino in Israele, se non sbaglio. In Tunisia ci sono ancora piccole popolazioni relitte di antilopi come l'Addax e l'Orice, le genette e le manguste vivono ancora in Nord Africa, e pure in Spagna, e nei vari altri gruppi troviamo diverse specie di chiara origine afrotropicale, come varani, camaleonti (tra l'altro, pare che il camaleonte che vive in Sicilia e nel Sud della Penisola non sia importato dagli arabi come si credeva, ma sia autoctono), tartarughe d'acqua dolce, ecc.
Ed in un passato non lontano, ossia in tempi storici, c'era molto altro. Il leone si è estinto in Marocco nel 1942, ma ricorda che una delle 12 fatiche di Ercole fu uccidere il leone di Nemea. Per cui i greci conoscevano bene questo animale, che a quel tempo doveva ancora essere presente nella zona mediterranea; nello Oued Draa, nel sud del Marocco, c'erano i coccodrilli, Annibale da Cartagine (praticamente Tunisi) era arrivato fino qui portandosi appresso degli elefanti
Loxodonta africana pharaohensis, che a quel tempo vivevano tranquillamente in Nord Africa, ecc.
marco villa ha scritto:
Bisognerebbe scoprire se, in un periodo relativamente caldo dell'ultimo periodo glaciale, almeno il ponte di Suez (se non quello di Gibilterra) era percorribile via terra.
Non credo ci siano mai stati particolari ostacoli in quella zona, visto che abbiamo dovuto scavare un canale artificiale per completare il collegamento tra Mediterraneo e Mar Rosso. Tra l'altro, quella è a tutti gli effetti l'estremità settentrionale della Rift Valley, che è in fase di apertura, quindi in passato era probabilmente più stretta. E nei glaciali, poi, col livello dei mari più basso, il passaggio tra Africa ed Asia e viceversa sarà stato anche più facile.
marco villa ha scritto:
Julodis ha scritto:
PS - Il culmine della desertificazione in Nord Africa è ora!
Si hanno prove certe di ciò? Anche considerando possibili correnti di diverso tipo scaturite dall'estensione dei ghiacci, trovo probabile che durante l'ultima glaciazione vi fosse in generale una minore piovosità rispetto ad oggi.
Si hanno parecchie prove, innanzi tutto geologiche e paleontologiche. Ma se non bastassero, ci sono testimonianze dirette dei nostri antenati.
Al tempo dei Romani, il Nord Africa in gran parte non era desertico. Se ricordi la storia romana, l'attuale Libia era considerata il granaio dell'impero. Ovvero era in buona parte coltivata a grano, almeno nella fascia settentrionale, quindi era più fertile di adesso. Lo Chott el Djerid, in Tunisia, intorno al quale ora c'è un'area subdesertica dove regnano quasi incontrastati i cespuglietti di astragali spinosi (ed a Sud ci si avvia verso il vero deserto sabbioso del Gran Erg Oriental), al tempo dei Romani era un vero lago perenne (non un lago temporaneo salatissimo che per parte dell'anno è pieno d'acqua, 120 km di larghezza, se ben ricordo, e per il resto dell'anno diventa un deserto di sale) circondato da boschi (la chiamavano Silva .... qualcosa). Ci sono resti di città romane, sparse per il Nord Africa, che se l'ambiente fosse stato come adesso non avrebbero mai potuto esistere e sostenersi.
Più indietro nel tempo, abbiamo pitture rupestri, sia nel Sud del Marocco che sui massicci centrali sahariani, che probabilmente altrove, che raffigurano paesaggi ed animali tipici della savana.
Abbiamo persino delle testimonianze viventi, come i cipressi del Sahara (
Cupressus dupreziana), che vivono in una località del Tassili n'Ajjer, massiccio montuoso nel Sud dell'Algeria (uno dei massicci sahariani di cui sopra), ma che non riescono più a riprodursi, perché le giovani piantine, che potrebbero nascere dai semi, trovano un terreno troppo arido. Le piante adulte sopravvivono perché man mano che la falda acquifera scendeva, allungavano le radici sempre più in profondità, ma ora sono piante di 2000 anni e più, nate quando il Sahara non era ancora un deserto.