Siamo rientrati ormai da oltre un mese, ci siamo riposati, preparato buona parte del materiale importato, inviate qui delle immagini e qualche piccola nota, ma alla fine non abbiamo documentato il nostro viaggio. Premetto che non sono bravo con le parole ma tenterò comunque di raccontarvi la nostra avventura. Aggiungo delle immagini sperando che altri partecipanti mi diano man forte per aggiungere dettagli e altre foto.
L'incontro avviene in aeroporto a Milano, dove alcuni di noi si vedono e conoscono per la prima volta.
Il volo con scalo a Parigi non permette di conoscerci meglio perché i posti sono sparsi qua e là.
Scesi a Libreville ci inonda la tipica aria calda e umida dei paesi subtropicali e siamo ognuno con i propri pensieri, un po stanchi, ma ansiosi e impazienti a entrare nel vivo dell'esperienza.
Raggiunto l'Hotel Tropicana, sistemate le valige, alcuni di noi armano subito le cinture con flaconi, retini, lampade e prima di sapere bene dove e quando cenare, ci si è trovati nella spiaggia ante stante l'hotel a cacciare. Cacciare cosa? Bella domanda. Qualunque cosa si muovesse. Le aspettative erano ampie. Caspita, siamo in Africa no? Qui brulica di insetti.....almeno dovrebbe. Dopo pochi minuti però un brusco risveglio. Abbiamo capito che vicino agli hotel non avremmo trovato nulla; nemmeno un moscerino alle luci dei lampioni. In effetti, a cena ci spiegano che nelle vicinanze delle strutture alberghiere vengono attuate giornaliere pesanti azioni di disinfestazione, e gli effetti si percepiscono lungo tutta la spiaggia.
Per soddisfare in ogni caso il nostro innato istinto cacciatore, alcuni di noi si dedicano ai velocissimi granchi che in gran numero popolano il bagnasciuga, e che in una vetrinetta al museo di Milano avrebbero fatto la loro bella figura.
uno dei tanti granchi sulla spiaggiauno dei pochi insetti trovati in spiaggiaAlcune giovincelle che hanno preferito ballare in spiaggie a farsi il bagno che andare a scuolaDopo la prima notte più o meno insonne, e una rapidissima colazione, le prime ricerche lungo la spiaggia alla luce del giorno. Di insetti nessuna traccia, quindi ci accontentiamo di qualche fotografia paesaggistica. Più tardi decidiamo di fare i turisti, e usciamo a pranzare in un tipico ristorante locale, dove mangiamo in pieno stile africano, pietanze esotiche.
Il pomeriggio lo dedichiamo allo shopping al mercatino dei manufatti locali, mentre gli organizzatori sbrigano le ultime pratiche burocratiche per il nostro ingresso al parco, e contrattano i mezzi per il trasferimento a Makokou previsto per l'indomani mattina.
In attesa del pranzo in un tipico ristorante localeTutti pronti alle ore 7:30 per l'imminente partenza. Una telefonata ci avvisa che gli autisti sarebbero in ritardo, dovuto al intenso traffico locale e dopo alcuni altri contrattempi di natura logistica e mezzi non idonei a ricevere la notevole mole di bagaglio, la partenza si trascina. Per ammazzare l’attesa Carlo ed io ispezioniamo alcune piccole acacie al bordo del sentiero e come voleva dimostrarsi, gli insetti ci sono. Raccogliamo cinque o sei Cetonidi e la prima Libellula per il nostro Gomphus. Ci chiamano. Pronti, via. Preso posto in uno dei due mezzi da Fuoristrada ci avviamo fino nelle zone periferiche di Libreville, dove avviene un ultima fermata per sistemare e proteggere i bagagli contro eventuali piogge con dei teli, il rifornimento di gasolio e foto di rito.
Immagini del maercato alimentare alla periferia di LibrevilleFinalmente alle 09:10, si parte. Ci attendono 600 km di pista sconnessa e in gran parte sterrata. Dopo soltanto 200 metri una sbarra ci chiude la strada, l’autista accosta e un corpulento poliziotto si avvicina. Ci chiede i passaporti e scopriamo che alcuni di noi lo avevano lasciato nel bagaglio. Panico…. Pietro che ha già abbondante esperienza ci tranquillizza e dice che non servono tutti. Bastano un paio! Proviamo, e dopo le solite domande di rito, il poliziotto ci augura buon viaggio.
Alcune botteghe in periferia della cittàLungo il tragitto lasciamo libero sfogo ai nostri occhi per ammirare un selvatico paesaggio, tinto in tutte le sfumature di un quasi prepotente verde, interrotto soltanto dalla striscia di asfalto, e corsi d’acqua più o meno estesi. A tratti la strada è perfettamente paragonabile a quelle italiane, a tratti invece presenta enormi voragini che però non sembrava infastidire minimamente la quiete e l'andatura allegra dei nostri autisti locali. In Africa non vige la regola del viaggiare a destra. Ci si mantiene esattamente dove le condizioni del manto lo permettono. Dopo pochi chilometri la maggior parte di noi si abitua allo stile di guida a zig-zag e la fiducia fa tornare qualche sorriso. O era semplicemente rassegnazione?
Passiamo veloci davanti a qualche piccolo villaggio composto da tre o quattro misere baracche costruite con semplici tavole di legno e lamiera ondulata come tetto. Qua e la qualche bambino seduto lungo il greto a giocare con dei sassolini. Uomini seduti davanti alle loro case sulle ogni presenti sedie in plastica bianca. Le donne, se si vedono, sono indaffarate con ogni tipo di fatica casalinga. Al nostro passaggio salutano con un largo sorriso.
Gruppo di uomini davanti alle loro casepiccoli ingegneri con le loro macchine autocostruite
Verso le 13:30 arriviamo in un villaggio maggiore, dove ci fermiamo. Antonio e Pietro ci dicono che mangeremo presso un ristorante tipico del posto. Osservo gli sguardi degli altri, e ho la netta impressione che nessuno ne sia molto felice. Non perché manchi la fame ma probabilmente perché le bancarelle disposte lungo la strada con il cibo cotto e crudo o affumicato in bella vista sotto il sole cocente e esposto a ogni e di più, non è proprio come siamo abituati nel nostro mondo sterile e civilizzato dove la commessa si mette il guantino in lattice per prelevare il panino confezionato dal banco frigo e lo serve con posate monouso rigorosamente confezionate. No, qui è leggermente diverso. la cacciagione, frutto di una notte di lavoro è stata venduta dal cacciatore in mattinata direttamente al ristoratore. Questo la taglia in porzioni e la espone in bella vista in cima ad un grande fusto di petrolio vuoto, e un pezzo di cartone ondulato, recuperato da qualche scatolone gli fa da piatto. In men che si dica la carne è ricoperta da una fitta coltre di mosche verdi e nere, ma questo non infastidisce. Nessuno vuole fare il pignolo, e in attesa che si cuocia la carne brindiamo con una fresca birra d’importazione. Sembra assurdo, ma gli unici frigoriferi che si vedono sono quelli pubblicitari stipati di birra e coca cola. Tutto il resto viene conservato all’aria aperta.
Arriva il pranzo, e dopo i primi timidi tentativi, noto dei volti sorpresi e subito dopo tutti affondiamo allegramente le fauci nelle nostre pietanze. Il cibo è buono. La carne saporita, le verdure ottime, e la birra rinfresca.
Alcuni brevi passi per sgranchire le gambe, la fatidica sigaretta, e risaliamo in macchina per proseguire.
Ecco delle tipiche bancarelle con cibo da consumarsi per strada e da asportoCucina all'apertoe noi al ristoranteDa qui in poi termina l’asfalto e troviamo soltanto strada di terra rossa. Per fortuna l’umidità lega abbastanza la polvere e si viaggia a finestrini aperti anche nella seconda macchina. Il percorso è un continuo sali e scendi pieno di lunghe curve, insidiosi rettilinei curve a gomito, buche e solchi scavati dall’acqua, profondi anche più di un metro, ponticelli fatti con semplici assi di legno. Gli autisti imperterriti, senza battere ciglio mantengono costantemente i 75-80 km/h.
Giusto per passare il tempo osservo la nostra corsa con il GPS e confronto velocità con strada da fare e calcola che calcola, non possiamo arrivare a Makokou prima delle 21:00. Non che vi fossero problemi, ma all nostro arrivo a Ipassa non è organizzata nessuna cena quindi avremmo dovuto fare la spesa in uno dei Ck2, soltanto che alle nove di sera, probabilmente avremmo trovato tutto chiuso. Per chi non fosse pratico, “secado” è una famosa catena francese di supermercati, e si trova anche in Gabon. Quindi si decide di fermarsi nel primo villaggio e di fare provviste. Le macchine rallentano in vista ad un gruppetto di case, e ci accorgiamo che si sta già facendo buio. Chiediamo e ci facciamo indicare il negozio. Sui pochi scaffali in legno sono disposte diverse scatole di latta con tonno, sgombro, paté di fegato e pollo. Qualche confezione di biscotti, alcune bibite, pan carré, carta igienica, sapone e polvere contro i pidocchi. Hanno poco ma l’essenziale. Ognuno di noi fa le sue provviste e torniamo in macchina. All’uscita del villaggio, l’ennesimo posto di blocco, controllo dei documenti, le medesime domande, e identiche risposte. Ormai è diventata routine, perché lungo tutto il percorso ad ogni passaggio di provincia abbiamo trovato questi controlli.
Strada facendobambini a farsi il bagnoLa route..Ci aspettano ancora circa due ore di viaggio, e uno degli autisti sollecita l’altro di aumentare la velocità e di stargli vicino. Per alcuni km ci prova pure ma si ha la sensazione che il suo mezzo non ce la potesse fare a mantenere i 90 km/h impostati dalla macchina che ci precedeva. Ad ogni buca si percepiva un pericoloso rumore provenire dalla parte posteriore della macchina, ad ogni buca uno stridulo più violento. Ma cercava di tenere duro. Tuttavia noi eravamo abbastanza rilassati nonché stanchi, e scrutavamo il cielo ormai buio pesto, per scorgere forse in lontananza, le prime luci di Makokou.
Come da “GPS”, alle nove arriviamo a Makokou che essendo la seconda più grande città del Gabon, ci aspettavamo un aspetto più moderno. Invece è in perfetto stile Africano. Chiediamo del Taxista fidato di Pietro e Antonio che avrebbe dovuto accompagnare i nostri autisti fino alla stazione di ricerca, e scopriamo che è impegnato in una partita a carte e che dovevamo attendere prima di coprire gli ultimi 12 km. E va beh.. dopo dodici ore di viaggio, un quarto d’ora non avrebbe più fatto la differenza. Eravamo tutti molto stanchi da una parte, dall’altra eravamo tanto ansiosi di arrivare finalmente a destinazione. Personalmente mi preparavo già moralmente alla prima uscita a caccia, non appena saremmo arrivati a Ipassa.
Dopo interminabili 20 minuti, l’Ok per proseguire. Non appena lasciata la città alle spalle, la sbarra all’ingresso del Parco. Il controllo di rito, e via. La corsa nella notte verso la stazione si interrompe dopo soli 6 km quando un urlo sincronizzato da parte di alcuni di noi in macchina esclama….GUARDA GLI ELEFANTI!!!! Troppo veloci.. Ci hanno attraversato la strada a meno di 20 metri di distanza. Un adulto con un cucciolo. Gli abbiamo visti per pochi secondi ma ci ha bruscamente e definitivamente portati nella realtà. Siamo in Africa, nella foresta più foresta e selvaggia. Wow….
Altri 5 minuti e entriamo nella stazione di ricerca Ipassa. Abbiamo precedentemente visto alcune foto della stazione ma nessuno di noi si immaginava bene come potesse essere veramente. Prima ancora di sapere dove, come o con chi si alloggiasse, ci siamo subito messi a perlustrare la zona.
Segnaletica sulla strada per IpassaLa stazione è un piccolo villaggio composto da una decina di costruzioni disposte in una radura nel bel mezzo della foresta. Piccole costruzioni a mo di villette, ognuna con una-due o più stanze, con bagno, cucina e salottino. Inoltre c’è una cucina comitiva, lavanderia, sala pranzo, Biblioteca, vari laboratori, Sede Amministrativa con uffici annessi e un reparto manutenzione con garage e officina.
Ognuno di questi edifici è esternamente dotato di illuminazione al neon, che per la nostra gioia sarebbe diventata un inesauribile fonte di prede le seguenti notti.
Dopo la sistemazione di ognuno di noi in una di queste villette, ci diamo subito ad una grossolana sistemazione dei bagagli. Intascati alcuni flaconi, l’etere, la torcia, il retino, e via. Un primo curioso approccio ai neon e non solo. Siamo avvolti da una nube assordante di rumori, canti, strilli, fruscii. Grilli, cicale, rane, uccelli, scimmie, e non so cosa altro. La foresta di notte è terribilmente rumorosa. Rumori belli, affascinanti, inquietanti. Non appena mi azzardo a lasciare il bagliore degli edifici e mi avvicino ai bordi della foresta vedo una grossa montagna di sterco di elefante. Ancora nell’erba del prato del villaggio. Quindi arrivano anche qui. Caspita. E con gli elefanti non c’è da scherzare. Ci hanno avvertiti che durante eventuali incontri non scappano, ma caricano senza esitare. Neanche a farlo a posta, fresco dell’esperienza visiva venendo in macchina, nell’immediata vicinanza, distante appena pochi alberi rumori di calpestio pesante, lo scricchiolare di un tronco d’albero che si rompe e cade pesantemente sotto il peso di un grosso elefante. Oooops….
Cerco di mantenere la calma, ma con passo felino torno nei pressi degli edifici che in questo momento emanano una certa maggiore sicurezza.
Mi rendo conto che stò crollando dalla stanchezza e decido che per oggi può bastare. Torno in casa mangio un boccone in compagnia e tra un racconto e l’altro ci mettiamo sotto le zanzariere.
Scorcio della stazione di ricerca con alcune villette"casa mia"Segue…..